lunedì 2 marzo 2015

Il netturbino

Se me lo chiedete, essere l'unico netturbino di Trieste non è un brutto lavoro; forse lo era una volta.

Mi aggiro per strade e stradine con l'unità di nettezza urbana tuttofare e quando ravviso sporcizia intervengo: do l'ordine appropriato di pulizia e l'unità esegue.

E'un piccolo mezzo a due posti, completamente elettrico ma tanto non deve immagazzinare immondizie ma solo spostarle: da quando era stata introdotta la raccolta al plasma tutto ciò che veniva gettato nel cassonetto veniva scomposto istantaneamente nei suoi componenti chimici; trasportato a quello che una volta era l'inceneritore; meticolosamente stoccato; rivenduto alle aziende chimiche.

Tutti ci guadagnavano: i cittadini erano esentati dal pagamento della tassa rifiuti (perché pagare un sistema che generava profitti?)

Certo capitava ancora che qualcuno abbandonasse spazzatura in giro,  che qualche "writer" si arrischiasse a scrivere qualcosa, qualche albero perdesse le foglie, specie in autunno.

Così capitò che inventarono l'unita di nettezza urbana tuttofare: riciclarono noi netturbini "da strada" e ci insegnarono ad usare questo gioiello.

Se qualcuno abbandonava un sacchetto o qualche lattina arrivavamo noi: comando "recupera" e le braccia meccaniche recuperavano il sacchetto buttandolo nel collettore al plasma più vicino.

"Writers"? Se qualcuno, nonostante le multe e il carcere, nonostante le telecamere di sorveglianza, trovava il modo di scrivere arrivavamo noi: comando "ripristina" e una serie di getti di sverniciatori e riverniciatori entrava in azione. Non si sarebbe potuto capire dove fosse stata la scritta prima. Riuscivamo anche a risarcire danni fisici alle strutture.

Per gli alberi, beh, quella è un'altra storia, ma in sostanza dove c'erano foglie morte: comando "compatta e recupera" e stessa sorte dell'immondizia.

Ma oramai siamo in un circolo virtuoso, per così dire: nessuno abbandona più nulla in strada e  nessun "writer" si prende il rischio di venire in città, sapendo che tutta la gloria durerebbe pochi minuti con moltissimo pericolo.

Mi accingo a scendere per via Tigor e da sopra via Ciamician mi si staglia dinanzi "l'aurora dalle dita rosee". Mica perché uno fa il netturbino vuol dire che non abbia una cultura: il lavoro mi lascia un sacco di tempo libero per continuare a studiare: il mezzo fa tutto da solo.

Ma stamattina mi va di guidare: disattivo il pilota automatico e scendo lungo via Tigor. Sono da solo in strada e la luce dell'alba rende i palazzi dai vari stili più splendidi del solito. Lo capisco bene l'unico business.

Sto rimirando una volta di più chiese e case ed è per questo che  in Piazza Hortis a momenti la investo: è ferma in mezzo alla strada ed è vestita di bianco.

Deve essersi spaventata anche lei perché ha lo sguardo sorpreso da quello che intuisco sotto la maschera antigas.

La indosso anch'io e scendo dal mezzo. Non sono bravo con le persone, men che meno con quelle di sesso femminile:

"Ciao! Tutto bene?" Le urlo.

Lei corruga lo sguardo. Non ha capito.

"English?" Le chiedo.

Stavolta la vedo sorridere, ma scuote la testa come dire no.

Ma resto sempre un italiano e quindi a gesti le faccio motto di entrare e lei, continuando a sorridere entra.

Una volta chiuse le portiere ci togliamo le maschere e lo noto solo adesso: è senza capelli e molto magra. Resta comunque una ragazza bellissima.

Ora leggo un velo di tristezza nel suo sorriso.

In un accento non intellegibile pronuncia: "Unità!"

"Ed Unità sia!" Rispondo io.

Anche facendo il giro largo, più panoramico possibile il viaggio dura pochi minuti per arrivare in Piazza Unità. Mi guarda con sguardo di gratitudine, le do un bacio fraterno sulla fronte.

Lei pronuncia qualcosa in una lingua che non capisco, ma dal tono dev'essere una domanda.
E'una richiesta. Fa cenno con la testa di uscire.
Capisco ed annuisco.
Ci mettiamo le maschere. Lei scende e guarda il mare, verso Barcola. Lo spettacolo è meraviglioso.
La città è un gioiello. Mi guarda e si toglie la maschera: per un istante la invidio, lei per un potrà godersi tutto coi suoi occhi senza nessuna vetrata ad ostacolo.

Poco alla volta l'aria malata di Trieste fa il suo compito: le toglie l'ossigeno e si addormenta, dolcemente, per sempre, nelle mie braccia.

Per quanto mi capiti spesso questo pietoso compito e di cadaveri dalle strade ne abbia rimossi parecchi negli anni addietro mi fa sempre un certo effetto, e la visiera della maschera mi si appanna.
Rientro sul mezzo e segnalo alla centrale operativa un codice "10C4" facile ed all'aperto.

Una volta ricevuta l'autorizzazione a procedere imposto il comando "tumula", che è oscenamente simile a "compatta e recupera". Di lei sparisce ogni traccia in pochi istanti.

L'unico business: "Trieste: la città nell'ambra". L'oramai disabitata Trieste deve tornare incontaminata dai segni della presenza umana per i turisti che la scruteranno dai loro comodi autobus panoramici in atmosfera protetta, per gli storici e per turisti avventurosi in maschera antigas che ne studieranno l'architettura e per quelli che chiamiamo "fantasmi", che vengono qui a riempirsi gli occhi di bellezza un'ultima volta.

Vivere qui oramai è impossibile, non ci venite: un errore nel chiudere la tuta, il filtro della maschera esaurito e verrò a prendervi per un "10C4". In quel caso fatemi il favore di farvi trovare in strada.