giovedì 28 agosto 2014

Racconto di fantasia grottesco: l'hockeista

Stava nastrando la propria stecca una volta di più. Sguardo serio. Non era la solita concentrazione adrenalinica da pre partita, ma all'esterno Joel appariva come al solito.
Joel Reiter era un predestinato: figlio di un hockeista in nazionale e di quella che oggi definiremo una "groupie" del padre aveva l'hockey nel sangue: una coordinazione occhio / mano strepitosa, un senso dell'hockey sopraffino, un genio della tattica e non ultimo un tiro battuto devastante e preciso.
Ma non era in NHL.
Non era nemmeno in serie A1 italiana.
Non viveva nemmeno di hockey, nonostante vivesse per l'hockey: con grande ignominia per la famiglia Reiter era impiegato come commesso nel negozio di alcolici del paese.
Il suo piccolo problema era l'incapacità a pattinare: stava sì in piedi ma tendeva a cadere al minimo contatto, a farsi distanziare nello sprint addirittura dai bambini delle giovanili e riusciva a cambiare direzione con la grazia di una balena spiaggiata; e questo nonostante i continui allenamenti coi più bravi insegnanti che la pedemontana potesse offrire.
Il fallimento di papà Reiter arrancava come centro della terza linea della squadra amatoriale del paese. Nemmeno la prima linea.
Capitava certe volte che si trovasse nella zona giusta del rink, in completa solitudine e ridosso della linea blu: quando il disco gli arrivava in quelle condizioni e riusciva a non cadere nel girarsi, entrava  un paio di passi nel terzo d'attacco avversario e se il difensore avversario non ci metteva troppo a recuperarlo scatenava il suo tiro. E raramente sbagliava.
Ma questo capitava solitamente la prima volta che incontrava la squadra avversaria: ora era da anni che non gli capitava più queste occasioni: i difensori che lo avevano in custodia avevano compreso che portargli via il disco era eccezionalmente facile pattinandoselo a dovere.
Passavano gli anni e la sua capacità fisica stava venendo meno, ma oggi era la sua occasione per fare il grande salto nell'hockey che conta.

"Allora ragazzi!" incominciò l'allenatore "Questi li conosciamo bene! Li abbiamo incontrati 4 volte in 5 mesi fra coppa e campionato: sappiamo chi marcare, sappiamo su chi andare morbidi e sappiamo chi è la testa di cazzo... Joel... hai capito?"

Già, Joel conosceva bene la testa... calda: Nikolas Kramasteter.
Già il nome faceva pensare ad una marca di tritacarne: alto 2.05 mt., peso 130 kg non bardato ed un brutto brutto carattere. Un'idiota sui pattini che sfogava in balaustra la frustrazione dei tre divorzi sulle spalle: troppo idiota per tenersi una moglie e troppo idiota per imparare dagli errori precedenti.
Non aiutava inoltre la sua attitudine alla rissa, sia sul rink, sia fra le mura domestiche dove evidentemente la qual cosa non era cavallerescamente tollerata come in campo.

"Joel! E'tutta la stagione che ti pizzichi con quell'idiota! Spero che nel finale della scorsa partita tu ed il signore vi siate "spiegati" per l'ultima volta!"
Con "spiegati" l'allenatore intendeva una di quelle belle risse che rischiano di trascinare le panchine in campo se non sedate in tempo terminate con la doppia penalità maggiore per entrambi e 2 minuti di minore per "istigazione" a Joel.
"Capisco che sia un idiota, ma anche tu ad attaccare briga proprio con lui..."
"OK, Mister!" Rispose sfrontato.

Partita noiosa fino a metà del terzo, con le squadre in parità e Joel appena entrato in campo: ingaggio in zona d'attacco per la sua squadra. In campo c'era anche Kramasteter.

Joel era solitamente velocissimo degli ingaggi ma quello, stranamente, lo perse. Il disco fu passato all'energumeno idiota.
Fu lì che incominciò: Joel non si curò delle posizioni da tenere ma caricò entro il limite del regolamento, piuttosto duramente il gigantesco difensore appoggiandovisi addosso con tutto il peso. Questi passò il disco dietro la porta al suo compagno di squadra e rispose alla gentile cortesia di Joel con una gomitata in volto. Joel, cercando di non farsi vedere, rispose con uno sgambetto sul suo pattino. Nessuna penalità. L'aveva fatta franca.
Cercò di spostarsi goffamente davanti alla porta avversaria mentre la sua ala sinistra (velocissima) cercava di chiudere sull'altro difensore: nella nuova disposizione dei giocatori Kramasteter era libero e quindi il suo compagno gli ripassò il disco lungo la balaustra dietro la propria porta.
Joel, vista l'azione,  si fiondò come un razzo e sull'ultimo passo prima di impattare si girò di schiena saltando.

Esiste un comportamento che non è sanzionato soltanto dall'hockey ma dal codice penale: piantare la stecca sulla balaustra e farsi passare il manico sotto l'ascella in modo che questa funga da spuntone solidale alla balaustra: se uno ti arriva addosso a tutta forza impatta prima contro questo paletto di legno con effetti più o meno gravi e se c'era una testa di cazzo che sapeva farlo veramente bene quella era Kramasteter.
L'idea era farla arrivare in faccia o sul petto dell'avversario, ma non potendo vedere dietro la testa si limitò ad attendere il colpo. Joel si accorse del bastone quando era già in volo.

Era a terra, faccia sul freddo ghiaccio,  e capì che qualcosa di grosso doveva essere successo dagli sguardi attoniti dei presenti: Kramasteter compreso.
 "Joel! Joel! Rispondi!"
Gli intimò un suo compagno.
"Sto bene! Sto bene!"
"Ragazzo, se ti tocco qui?" chiese il medico della squadra entrato in campo.
Il medico era entrato in campo?!? Ma da quanto tempo era a terra?
" 'Qui' dove?"
 Ed i suoi compagni di squadra si guardarono fra loro con uno sguardo sbigottito, tradendo la gravità della situazione.
" 'QUI' DOVE?!?!" ripetè con una voce che era misto d'ansia e rabbia.
"Ragazzo... hai preso una gran brutta botta alla schiena. E'presto per fare prognosi, quindi sta tranquillo per ora! Aspettiamo la barella!"

Ma lui non aveva bisogno di ulteriori analisi: sapeva bene il responso. Aveva sentito un orribile suono provenire dal suo corpo nell'istante dell'impatto: sapeva che sarebbe rimasto paralizzato dalla vita in giù.
Provava freddo.
Aveva pianificato ad arte il tutto.
Aveva volutamente sabotato i suoi paramenti per ridurre la protezione da impatto.
Aveva volutamente provocato Kramasteter tutta la stagione per portarlo a reagire alla minima scintilla.
Sapeva che avrebbe puntato la stecca in balaustra.
Aveva atteso la sua occasione e l'aveva colta.
Ed ora doveva solo trattenere il sorriso per il piano riuscito, continuando a recitare la sua parte dell'atleta affranto.
Nella nazionale paralimpica Hockey Ghiaccio avrebbe avuto finalmente la gloria che la sua famiglia attendeva: mancavano due anni alle Paralimpiadi, avrebbe fatto a tempo a rimettersi in sesto e convincere il commissario tecnico a portarlo con sè grazie al suo formidabile tiro.
E la sua storia sarebbe stata gloriosa: infortunato in una partita di hockey!
"L'uomo è l'artefice del proprio destino" recita un motto. Gli altri membri della squadra  paralimpica non avevano certo scelto la loro condizione ma lui  no: era stato furbo.
Sicuramente se si fosse lasciato sfuggire prima qualche dettaglio sul suo folle piano gli avrebbero spiegato che ciò che stava meditando era pura follia, che gli atleti paralimpici avrebbero fatto sicuramente a cambio con la sua condizione. Beh lui voleva fare a cambio con loro, ma visto che non si poteva con le buone...


Salutava mentre la barella usciva dal campo e l'applauso di incoraggiamento del pubblico gli sembrava già quello della cerimonia di apertura dei giochi.
Bastava solo aspettare, ma intanto sentiva sempre più freddo.